Girovagando all’interno della casa abbandonata, decisi così di entrare in una stanza, presa a caso. Ero attento nei movimenti, ma mantenevo una certa disinvoltura e i passi erano precisi, leggeri e studiati, ma lunghi un metro ciascuno. Non è da me osservare questi dettagli poco importanti per il corretto svolgimento di una indagine che si rispetti.
Era polverosa, la stanza, dove la sporcizia copriva gli strati di muffa e dove le ragnatele brillavano sugli spigoli dell’armadio giallo pallido, sugli scrivani graffiati e sulle pareti tinte d’un bianco spento. I giochi d’elio distraevano gli occhi che sottratti dal loro dovere rimasero incantati. Infatti sottili dardi aranci di un sole timido ora squarciavano la stanza a metà, coloravano il pavimento nonché le sottilissime tele geometriche di una famiglia di ragni; il fascio serpeggiava quasi volesse rivelarmi qualcosa, per poi dissolversi; una nuvola che vestiva la nuda luce del sole per riapparire infine seguendo lo stesso percorso: fu questa la semplice osservazione che mi son fatto.
Ora un sottile capillare luminoso, ora non più. Era il gioco di un sole da poco apparso nel firmamento nella sua completa rotondità. C’era ancora freddo. L’umidità penetrava nelle mie ossa.
Lo spiraglio proveniva da un piccolo foro... Mi muovevo, e ancora un altro po’; gli occhi caddero sulla scrivania; l’incantesimo si ruppe.
“Caro diario,
non era difficile percepire nei volti dei due amici un fastidio nei miei confronti, ho sempre dovuto preoccuparmi della mia presenza, come farla accogliere…”
Capii di cosa si trattava, quel quaderno. Pagine gialle e copertina marrone dalla carta spessa e porosa, non circolavano più questo genere di quaderni nelle botteghe.
Voltai pagina. Un’altra. Guardai il retro della copertina porosa: niente. Ora la copertina: nemmeno. La prima pagina inizia con un nome: Osbert Hutchinson.
***
Hutchinson questo la capiva. Non sempre lo ha capito, però. Ci sono stati tempi in cui egli detestava la ‘piccola cittadina vecchia’ per la sua ignoranza e staticità mobile. Sì, la chiamava così. Secondo Hutchinson la sua cittadina combinava nei peggiori dei modi la mentalità irremovibile – o quasi – di una certa tradizione o visione antropologica con le meraviglie del progredire, nuove, per quel popolino cocciuto ma indifeso.
Ora capiva che sino a quando i suoi piedi camminavano sulle strade della ‘piccola cittadina vecchia’ non doveva far altro che arrangiarsi con la sua sola mente. L’unico vero prezioso strumento, d’altro canto, ch’egli disponeva.
Doveva pensare e comunicare con chi poteva permettersi una conversazione interessante, che non sarebbe dovuta essere per forza una discussione d’un certo tipo, purché suscitasse un risultato degno di attenzione per Hutchinson.
***
Questo era il titolo del breve scritto. Affianco, segnato in pedice tra due parentesi, (parte prima).
Appariva bene esser stato scritto successivamente, lasciandomi intendere che altri accorgimenti sul “metodo… ” son stati registrati in un altro tempo, su altre pagine.
“oggetto del metodo: capire su quali presupposti il mio occhio si muove nell’osservare il mondo che mi circonda; studiarci sopra, correggere ed individuare alcune caratteristiche della mia personalità e del perché io sono un osservatore. […] Per capire cosa mi muove nel conoscere limitando il più possibile le piaghe dolorose del pensare. […]
Obiettivi:
1) Perché osservo.
2) Quali oggetti osservo.
3) Cosa deduco, come deduco perché raggiungo tali conclusioni. […]”
Costretto a voltare lo sguardo sulla pagina a destra mi accorsi che la scrittura ripristinò la sua calligrafia originale. Non fu casuale.
No, perché il tuono si sarebbe fatto sentire pochi secondi dopo. No, per il timore di non afferrar più quelle parole esatte, argute quanto naturali che uscivano dalla mente oramai in moto secondo un movimento non più stagnante. Dopo, altre parole altri sinonimi sarebbero sopraggiunti con una certa lentezza e ciò avrebbe ostacolato il pensiero. […] il pensiero non va ostacolato se possibile…
***
«Secondo me pensa alla sua amata, l’ho capito da come guarda il cielo» diceva uno.
«Non dire fandonie, lo vedi ogni giorno assieme a me, ogni santa mattina passeggiare. Lo hai mai visto con una donna vicino?», rispose l’altro.
Il primo negò con il capo e nuovamente il secondo:
«Allora cosa parli a fare? E da cosa lo deduci? Mi dici “l’ho capito da come guarda il cielo”… tsz! Tu sei come quei giovanotti imbecilli che si fanno sorprendere dal suo fare bizzarro!» ma lo interruppe l’interlocutore: «Ora che ci penso, vi è una fanciulla».
«Io invec… Uh? Una fanciulla?».
«Sì, e lo ascolta nel suo parlare strano; parla anche lei strana… se invece facesse il suo dovere da femmina…»
«Di chi è figlia?» troncò il discorso.
L’amico rispose con precisione. La ragazza era la figlia del marito della sorella dell’architetto, cugina del postino da parte del padre. Aggiunse inoltre che a suo cognato è stato detto dal cugino della ragazza, che Hutchinson riceveva lettere da diverse donne.
«Magari sono sue cugine, sue parenti» concluse.
«Forse sue sorelle».
«No, impossibile. Non ha sorelle».
«Allora saranno sue cugine… o allieve… a quanto ho modo di vedere, lo conosci meglio di me».
«Allieve? – esclamò ridendo – magari sono sue amanti!».
«Ma dici sul serio?» interrogò l’amico con gli occhi spalancati.
«Su alcune buste vi erano raffigurati dei cuori» gli rispose e ridacchiò.